di Eustachio Loperfido (già Presidente dell'Istituzione Gian Franco Minguzzi),
pubblicato in "Portici" - n. 2/2007 - del giugno 2007
Venti anni fa moriva Gian Franco Minguzzi, stroncato da un male incurabile che Egli affrontò, come la morte, con piena consapevolezza e con la forza morale, la dignità e la serenità che ne avevano caratterizzato lo stile di vita. Poco meno di un anno dopo, il 12 gennaio 1988, il Consiglio Provinciale di Bologna in seduta dedicata deliberò l'intitolazione a Suo nome del Centro Studi e Documentazione di Storia della Psichiatria e del Emarginazione Sociale che nel 1995 fu costituito in Istituzione dalla stessa Assemblea elettiva.
Va detto che l'intitolazione non fu espressione di una scelta emotiva, nel solco della perdita, e neppure di una esigenza onorifica (che sarebbe stata in netto contrasto con il modo d'essere e lo stile della Persona); fu piuttosto una forma di sdebitamento e di riconoscimento istituzionale del ruolo di prima linea che Minguzzi aveva avuto a livello nazionale, nel processo di trasformazione profonda della concezione teorica e della pratica sociale della psichiatria che accompagnò insieme a Basaglia, Giacanelli ed altri, sino all'approdo legislativo segnato dalla legge 180. Ma, con ancora maggiore pertinenza, gli veniva riconosciuto a livello locale il merito di avere contribuito in modo attivo e determinante alla ideazione e alla elaborazione del progetto del Centro Provinciale di Ricerca e Documentazione per il quale si fece promotore, insieme ad un qualificato gruppo di intellettuali, di un appello alla Provincia e alle altre Istituzioni pubbliche locali.
L'intitolazione del Centro (poi divenuto Istituzione) a Minguzzi costituiva un atto impegnativo se è vero che un nome dà un impronta di identità all'oggetto cui viene attribuito. Proprio avvertendo questa responsabilità, vogliamo ricordare di Gian Franco Minguzzi alcuni aspetti del suo patrimonio intellettuale che, assunti dall'Istituzione come una sorta di "imprinting", costituiscono i capisaldi della impostazione politico-culturale della medesima.
Innanzitutto la pratica della "cultura critica". Disse di Lui Canestrari nell'occasione commemorativa del Consiglio Provinciale: "Amava il discorso critico...indicava problemi, seminava dubbi, scuoteva passività conformistiche, invitava alla libera discussione di gruppo".
In secondo luogo la fondamentale importanza dell'innovazione come vettore di cambiamento nel campo sociale: ma non c'è innovazione se non si fa ricerca, osservazione rigorosa dei fatti, come base cognitiva per impostare iniziative e attività sia di formazione professionale continua sia di promozione culturale.
Infine il concetto di interazione e di rapporto dialettico tra uomo e società che Egli estrasse dagli studi sui Gruppi Sociali. "L'uomo (ovviamente non da solo) produce il mondo sociale; questo prodotto diventa realtà oggettiva; tale realtà oggettiva produce l'uomo...il mondo sociale non è solo l'insieme dei valori, ma innanzitutto l'organizzazione sociale..."
Queste idee hanno ispirato in questi venti anni la missione socio-culturale dell'Istituzione anche se non sempre, bisogna pur riconoscerlo, alle intenzioni corrispondono, con la massima coerenza, le azioni.
Idee e ideali di Minguzzi continuano comunque a vivere attraverso l'Istituzione che ne porta il nome.